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Francesco Medici 2 - Graziella Martina - In viaggio con gli scrittori

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Il falso pellegrino prepara per anni la sua impresa, studiando in modo indefesso le lingue, le culture e i costumi dei popoli tra cui avrebbe dovuto confondersi. Arriva anche a circoncidersi, come è abitudine secondo la tradizione islamica, in modo da «simulare una devozione perfetta» e diminuire così il rischio di essere scoperto. Contando sui finanziamenti della Royal Geographical Society, ciò che lo muove è soprattutto la passione bruciante per l'avventura, il desiderio di realizzare un sogno che era ormai diventato un'ossessione. Immerso nello spirito coloniale dell'epoca, per molti studiosi odierni, Burton è il tipico esploratore vittoriano, intrepido – leggendarie, tra l'altro, le sue abilità di spadaccino -, eccentrico, coltissimo e sussiegoso, convinto della propria superiorità di europeo rispetto agli «Orientali». Spesso infatti i suoi giudizi su quei popoli sono oltremodo severi e sarcastici: «di regola in questi paesi nessuno presta soldi, perché il prestito non viene restituito». E ancora: «agli Orientali la menzogna dà da bere, da mangiare e un tetto per ripararsi». E, infine, a proposito dei beduini, sembra condividere l'adagio secondo cui «se solo non violentassero, rubassero, uccidessero, bruciassero, non ci sarebbero delle persone migliori di loro».

La curatrice italiana si mostra invece più indulgente verso il grande esploratore: «Animato da genuino interesse per le pratiche islamiche, vuole sapere cosa prova un vero pellegrino nel raggiungere il cuore dell'Islām». Ma Burton parla dell'Islām come di una religione il cui «spirito» «si oppone ai suggerimenti dettati dal buon senso» e dichiara di aver intrapreso il pellegrinaggio perché «stanco del 'progresso' e della ‘civilizzazione', curioso di vedere coi miei occhi la vita dei Musulmani in un paese maomettano». Semplicemente per noia e per curiosità, si direbbe.
Come è noto, non è permesso ai non musulmani visitare i luoghi sacri dell'Islām, tanto più entrare nell'area della Mecca e spingersi nelle immediate vicinanze del santuario della Ka'bah (vi sono infatti, ancora oggi, per gli stranieri di passaggio, delle strade obbligate che girano attorno alla città). Il soggiorno alla Mecca è vietato ai non credenti e le violazioni vengono punite con pene draconiane. La principale difficoltà del viaggio consisteva dunque per Burton nel riuscire a ingannare la gente del posto facendo loro credere di essere un nativo di quelle zone, infatti, se la sua vera identità fosse stata rivelata, avrebbe sicuramente perso la vita: «Nulla avrebbe potuto salvarmi dai coltelli dei fanatici arrabbiati se si fosse scoperto chi ero». Si narra che a Londra fosse circolato a lungo l'aneddoto, smentito poi da Burton molti anni più tardi, secondo cui, nel corso del pellegrinaggio, egli avesse dimenticato in un'occasione di mettere in pratica l'usanza musulmana di accovacciarsi per urinare e che, scoperto, avesse assassinato il giovane arabo deciso a denunciarlo. Quando, al suo ritorno, Burton fu interrogato sull'episodio, rispose che «nel deserto la legge del Corano non è sufficiente e non è rispettata», dunque uccidere non era un reato grave e che, in ogni caso, si trattava della «vita di quello contro la sua».
Il pellegrinaggio per un musulmano rappresenta l'unione della Umma, la comunità dei credenti provenienti da tutto il mondo, ma è anche testimonianza dell'individuo che in solitudine cammina verso Dio in comunione con i suoi fratelli e sorelle, soli anch'essi dinanzi ad Allah. Alla fine del suo viaggio, il console britannico, certo, può celebrare la sua vittoria: «ci siamo trovati davanti alla casa di Dio, il mio lungo e faticoso pellegrinaggio era giunto al termine, i progetti e i desideri di molti e molti anni si erano realizzati». Ma ammette con sincerità: «i miei sentimenti avevano più a che fare con il mio orgoglio soddisfatto che con i sentimenti religiosi».
Burton tradusse anche il Kāmasūtra (1883), viaggiò con John Hanning Speke alla scoperta dei grandi laghi africani e della sorgente del Nilo e visitò Salt Lake City, per studiare le comunità mormone, continuando a pubblicare i suoi lavori. Inoltre, prestò ancora servizio per Sua Maestà a Fernando Pò, nell'Africa occidentale, poi a Santos, in Brasile, quindi a Damasco e infine a Trieste, dove morì nel 1890. La sua traduzione di Il giardino profumato (al-Rawḍ al-'Ãṭir) di ‘Umar Ibn Muḥammad al-Nafzāwī finì purtroppo bruciata dalla sua vedova, Isabel Arundel Gordon, perché considerata pornografica, e quindi potenzialmente nociva della memoria del marito. Lady Burton ne bruciò anche la collezione quarantennale di diari e giornali, nel timore che una rivelazione pubblica delle insolite pratiche sessuali cui fu interessato il suo Richard per tutta la vita potessero alimentare voci malevole circa le sue inclinazioni personali.
Del resto, Burton conclude con queste parole il suo intrigante resoconto di viaggio alla Mecca: «La maggior parte dei devoti, ormai puri e senza macchia e con il libro dei peccati trasformato in una tabula rasa, si affrettavano ad aprirvi un nuovo capitolo. È piccolo il numero di quelli che il pellegrinaggio induce a cambiar vita».




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