Maupassant - Archetti - Il Foglio - Graziella Martina - In viaggio con gli scrittori

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"Itratti severi / sulle banchine d’Algeri / nelle strade dei villaggi e nelle pianure del Tell / sulle montagne del Sahel”, e se per caso lo state pensando diciamo subito che no, non si tratta di un inedito di Franco Battiato, e la maliziosa divisione in strofe non appartiene al testo originale, La vita errante, titolo che potrebbe far davvero pensare a un testo rimasto nel cassetto e invece appartiene a un Guy de Maupassant, pubblicato e reperibilissimo (Ibis editore, 195 pp., 9,80 euro). Ma il giochino non è gratuito, anzi, è utilissimo a sottolineare la qualità alata che connota in particolar modo la seconda parte di questa raccolta di scritti dello scrittore francese in viaggio tra Italia e nord Africa pubblicati su Le Figaro, sul Gil-Blas, sulla Nouvelle Revue e su L’Echo de Paris tra il 1885 e il 1890, e che va dai capitoli “Algeri e Tunisi” fino a “Verso Kairouan”. Raramente capita di leggere un racconto di queste latitudini tanto lieve e ricco di osservazioni libere da tutto ciò che grava oggi su quei luoghi, tra convenzioni folkloristiche e risapute banalità, al punto che sorprende – e ristora – leggerne un resoconto alieno ai nostri vizi, e che è un vero esercizio dello sguardo. Ma qualcuno legge ancora corrispondenze di viaggio? Il genere interessa un numero significativo di lettori? Siamo riusciti a non ridurre il viaggio al semplice viaggiare?

Il primo capitolo si intitola “Stanchezza” ed è un perfetto saggio di come procede Maupassant quando è alle prese con questo genere di scrittura – non parla solo di ciò che trova, ma di ciò da cui fugge. Così la chiama “carcassa metallica”, “scheletro sgraziato”, “gigantesca opera da calderaio”. Poi si augura che presto qualcuno “provveda a sbullonare questa alta e sottile piramide di scale di ferro la cui base sembra fatta per sorreggere un formidabile monumento di Ciclopi e che termina invece nel profilo ridicolo e sottile di una ciminiera di fabbrica”. Insomma, la Torre Eiffel e le sue riproduzioni esposte in ogni vetrina per l’Esposizione universale del 1889 lo nauseano al punto da essere la goccia che fa traboccare il vaso della stanzialità. Unico desiderio: voltare le spalle a quella Parigi carnaio e a prendere il largo – Maupassant non la taglia fina, è severo col trionfo commerciale e industriale, a tratti un pelino signoramìa, e ribadisce che spera di sbagliarsi, ma nemmeno lui ci crede.

Abbandonandosi alla navigazione, amerà Genova vista dal mare (“una delle cose più belle al mondo”, peccato che, sbarcato, sarà afferrato alla gola dalla stessa sensazione offerta da Firenze e Venezia, di “città molto aristocratiche cadute in potere al volgo”) e tra uno strale e l’altro lanciato contro gli arricchiti e i parvenu sfiorerà la beatitudine attraccando a Portofino (modesto villaggetto di pescatori), ammirando le donne di Savona e godendo la densa sensualità di Firenze (tuttavia i fiorentini lo disgusteranno e i pisani anche – colpo di scure sulle diatribe di campanile). Quindi celebrerà il cielo italiano e spenderà parole d’amore appassionato per la Sicilia, “la sola patria del colonnato”, realizzazione di tutti i sogni di bellezza perché “mi ha mostrato la Grecia” (cieco amore per Palermo, Catania rimandata, Messina bocciata).

“La giornata di navigazione aveva ripulito il mio spirito come un colpo di spugna su un vetro appannato e nella mia mente si affollavano i ricordi della vita”, scrive a un certo punto. Ed è proprio questo che rende vertiginoso ogni capitolo delle sue scritture di viaggio: il fatto che si sviluppino intrecciando lo sguardo che si avventura verso un luogo nuovo con lo sguardo che retrocede sul sentiero del passato. Il tutto ha dunque, sempre, il sapore del diario intimo, della confessione affacciata sull’anima di un uomo che sa di andare verso la morte ma celebrando la vita, la sua densità, i suoi colori, e la bellezza eterna che non redime, se tutti gli uomini – alla fine – non riescono a essere diversi da ciò che sono: volgari e immeritevoli.

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